L'orso nella storia medievale - la sacralità dell'orso

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view post Posted on 25/3/2006, 09:33     +1   -1
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Orso Mannaro

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Tre elementi sembrano aver colpito l’uomo nel suo millenario rapporto con l’orso: la sua somiglianza con aspetti e atteggiamenti propri della specie umana: la sua furia “primitiva” che ne ha fatto per gli alchimisti uno dei simboli della nigredo e per la psicanaalisi un segno dell’inconscio; il suo coraggio e la sua forza guerriera. Alcune osservazioni, sia morfologiche sia storiche su antichi miti ci offrono interessanti spiegazioni sulla contraddittorietà dell’orso quale simbolo, al tempo stesso, di energia guerriera e di affetto materno-filiale.

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L’orso è forse l'animale rispetto al quale l'uomo avverte maggiormente la sua posizione contraddittoria nel confronti del mondo animale: familiarità e affinità da un lato, estraneità e opposizione dall' altro. Esso è tuttora - o lo era, prima che gli Occidentali riuscissero praticamente a distruggere quasi tutte le culture tradizionali - dio e al tempo stesso padre, fratello, figlio, amico per tutti i popoli della galassia uralo-altaica, dai Lapponi ai Siberiani ai Pellerossa d' America; ma il suo culto era vivo anche tra i popoli indoeuropei, come dimostrano i miti indiani e quelli greci, quelli celtici e quelli germanici e come racconta la leggenda osseta (1). Quest'antica familiarità - che, se non corrisponde a contenuti archetipici, ha comunque l'aria di venirci molto lontano dalla preistoria- non è stata del tutto tradita neppure ai giorni nostri: l'orso ha una parte di rilievo nelle fiabe antiche come nei disegni animati per bambini, che del resto in una qualche misura da quelle fiabe dipendono almeno per i simboli-base; e l'orsetto di pezza che regaliamo ai nostri piccoli per giocare (forse augurio di forza se offerto ai maschietti, di fecondità se affidato alle femminucce) conserva ancora questa duplice in apparenza per noi occidentali moderni (ma solo per noi) contraddittoria carica di energia guerriera e di affetto materno-filiale.

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Nella Ynglingasaga sono presentati i guerrieri-belva di Odhin, i berserkir ("pelle d'orso"), equivalenti dei quali nella tradizione norrena sono gli ulfèdhnar ("veste di lupo ") . Essi «... andavano senza corazza, selvaggi come cani e lupi. Mordevano i loro scudi ed erano possenti come orsi e tori. Facevano eccidio di uomini e ferro e acciaio nulla poteva no contro di loro».
Queste caratteristiche non erano costanti: si conseguivano per mezzo di un rituale estatico che non conosciamo, e al quale può darsi non fosse estranea l'assunzione di sostanze allucinogene. Le qualità così ottenute si possono sostanzialmente indicare nell'identificazione con una belva della quale si portavano i contrassegni ( la pelle o, forse, per i guerrieri-orso un collare di ferro, secondo un'usanza che Tacito attesta per i germanici Catti e che è restata a lungo viva nel folklore danese sotto forma della leggenda che ci si potesse trasformare in orso indossando un collare di ferro) e nel conseguimento di una specie di invulnerabilità. Siamo dinanzi a figure mitiche, beninteso: e niente è più pericoloso di storicizzare le figure miti- che per mezzo di escamotages di tipo evemeristico. Lo sappiamo molto bene, come sappiamo che è grave errore mischiare (e confondere) mito e rito. Ciò detto, bisogna però anche aggiungere che la proposizione della figura mitica del berserkr poteva ben avere, nella cultura norrena, il ruolo del modello archetipico al quale erano ritualmente chiamate ad adeguarci (il rito è riproduzione liturgica del mito) confraternite iniziatiche di guerrieri particolari, sorrette dal patronato di un animale totemico, e chiamate ad assumere funzioni specifiche (di "margine" ma anche di "difesa estrema" in casi congiunturali) della società nell'ambito della quale i loro componenti vivevano.
Il travestimento da orso o da lupo non era soltanto un'astuzia bellica atta a spaventare il nemico o l'assunzione di un abito contrassegnante l'appartenenza alla confraternita: poteva essere anche il segno esteriore - e al tempo stesso il veicolo rituale - di una temporanea possessione dello spirito-belva che, sciamanicamente evocato, entrava nel guerriero.
E sorge il problema: il berserkr è dunque il "guerriero pelle d'orso", oppure1'essere umano che presta il suo involucro di carne, la sua pelle, all'orso divino che, evocato, entra dentro di lui?
Non sarà piuttosto, in altri termini, il "guerriero la pelle del quale serve all'orso"?
Le saghe norrene hanno, com' è noto, un discreto spessore storico-cronistico accanto a quello mitico-rituale. La Egillsaga ci narra ad esempio del contadino Ulfr {che si chiamasse Lupo può essere solo una coincidenza: era un nome comune), il quale era stato berserkre che, di tanto in tanto, sul far della sera, veniva posseduto di nuovo dallo spirito-belva. Era un "lupo di sera", uno capace di cambiar natura: uomo capace di subire una metamorfosi almeno interiore, eigi einhamr, “non di una sola natura”.
Non insistiamo oltre su questo parallelismo tra orso e lupo, che ci condurrebbe al tema della licantropia e al suo equivalente ursino: limitiamoci a ricordare come il nome stesso Beowulf, che dà il titolo al noto poema (6), significhi “lupo delle api”, quindi orso, così chiamato m quanto goloso di miele. Nella Hrolfrssaga l'eroe Bödhvar Kjarki combatte sotto forma di un grande orso mentre il suo corpo sta dormiente nella retroguardia: Bödhvar è però figlio di Björn, "Orso", un uomo che per incantesimo era costretto a vagare di notte sotto forma dell'animale del quale portava il nome, e di una donna chiamata Bera, "Orsa". La belva, che nel caso specifico di Bödhvar parrebbe corrispondere alla natura profonda dell'eroe, può forse identIficarsi - per le varie confraternite iniziatiche militari delineate nella società norrena delle saghe, e che trovano del resto corrispettivo in molte culture tradizionali - con la hamingja, lo "spirito-guida" (anche qui, usiamo il termine norreno per una figura viva in molte tradizioni) .


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Naturalmente, il cristianesimo medievale osteggiò l'iniziazione guerriera - nella quale s'imbatte soprattutto durante l' evangelizzazione del mondo celtico prima, germanico poi – come tutti quegli usi pagani che non sembravano suscettibili di acculturazione. Può darsi che pratiche estatiche atte a sostenere il guerriero in combattimento si fossero perpetuate all'interno di gruppi militari di élite, come le varie forme del comitatus germanico, e che per questa via giungessero ai milites altomedievali. La Chiesa non poteva certo avallare rituali e atteggiamenti del genere, che in effetti - nelle saghe più tardi, Come nell'epica francese d'oil - sembrano proprie di guerrieri asociali, criminali, in casi estremi perfino indemoniati: una saga norrena ormai appartenente al periodo posteriore alla completa cristianizzazione dell 'Islanda, la Vatnsdalsaga, parla di due berserkir esempio terribile di arbitrio e d'incontrollata violenza, che vengono uccisi per consiglio del vescovo senza uso di armi di ferro; (perché dalle ferite inferte con tale metallo sono “magicamente”, o ritualmente immuni) .

La Chiesa dell'XI-XII secolo elaborò, tra Gregorio VII e san Bernardo di Chiaravalle, il suo ideale di guerriero cristiano: il cavaliere, sia laico che monaco. Non c'era più bisogno di orsi: e difatti, se vogliamo trovare qualche traccia dell'antico folklore guerriero (e forse delle antiche tecniche iniziatiche), è al permanere di elementi di cultura tradizionale filtrati ad esempio attraverso il romanzo arturiano che bisogna rivolgersi (si pensi al "leone-guida" dell ' Yvain, che ricorda lo hamingja) .

Gli orsi, quindi, restano al loro posto guerriero: ma sono oggetto di un'interessante dicotomia. Il linguaggio profondo di una cultura non si cancella facilmente: è più comodo mantenerlo mutandone il segno. Così, l'orso guerriero ridiviene plinianamente feroce e malvagio, e lo si utilizza - come nella Chanson de Roland - quale simbolo onirico dell'antieroe, Gano di Maganza. Oppure, nel Cantar de Mio Cid (un'opera che ci giunge da quella Spagna nella quale cultura araba e memoria celtica e germanica s'incontravano), riaffiorano significativamente gli animali di base dell'immaginario celtico legato alle funzioni sacerdotale e guerriera, che il poeta cristiano riferisce naturalmente agli infedeli: sono orsi di montagna, il loro capo è un cinghiale dalle setole d'oro.

Ma i cavalieri cristiani non avevano evidentemente dimenticato il loro vecchio amico. Per quanto i bestiari non lo autorizzerebbero, l'orso rimane protagonista dell'onomastica nobiliare e delle insegne araldiche. Lo troviamo soprattutto nell'araldica medievale tedesca e francese del sud (Guascogna, Pirenei, Delfinato). La. caccia all' orso resta, con quella al cinghiale e al cervo, privilegio del grandi e nobili guerrieri. L 'uomo e l' orso continuano ad amarsi e a combattersi: questo è l'ordine delle cose, almeno finche l'uomo ha continuato a rispettarlo.


Tratto da :
http://www.airesis.net/IlGiardinoDeiMagi/G...dini_orso_4.htm
 
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RaffaShine
view post Posted on 21/11/2006, 20:21     +1   -1




Grazie Beorn, è molto interessante. Ora ci ho capito qualcosa di più! ;)
 
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Lucy98
view post Posted on 24/10/2007, 19:45     +1   -1




Anche io, poi L'orso nella storia medievale, la sacralità dell'orso è un argomento interessante io ascolto sempre documentari diquesto genere :P
 
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2 replies since 25/3/2006, 09:33   2195 views
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